Sarà leggermente più lunga del solito ma ho un pò di fili da annodare (e qualche link buono da consigliare).
Per chi va di fretta: diventeremo tutt* vibe marketer? Risposta: non lo so, il concetto è valido, il naming insomma e magari tra 6 mesi l’avremo già archiviato ma vale la pena comunque ragionarci.
Per chi ha qualche minuto in più: buona lettura
TAPPA #1: LA BARBA di RICK
Rick Rubin, produttore musicale con discreto curriculum e una barba iconica , racconta nel libro “The creative act” (che non ho letto ma ho “ascoltato” in questa puntata di Hacking Creativity ) il suo modo di lavorare e il suo approccio alla musica.
Il momento clou (grassetto mio)
Anderson (il giornalista che lo intervista): Suoni qualche strumento?
Rick Rubin: A malapena.
Anderson: Sai usare un mixer?
Rick Rubin: No. Non ho alcuna competenza tecnica. E non so nulla di musica.
Anderson: Dai, qualcosa dovrai pur saperlo.
Rick Rubin: Beh, so cosa mi piace e cosa no. E ho le idee molto chiare su questo.
Anderson: Quindi per cosa ti pagano?
Rick Rubin: La fiducia che ho nel mio gusto e la mia capacità di esprimere ciò che sento si sono rivelate utili per gli artisti con cui ho lavorato.
Vi suona come un flexata tremenda? Lo capisco ma Rubin se lo può permettere (non gli sarò mai abbastanza grato per questo). Lui parla di musica e creatività ma, in tempi rutilanti di AI, il pensiero corre facile alla situazione in cui ciascun* di noi prova o gioca a “fare” senza avere necessariamente competenze di base. Solo affidandosi ad un gusto che magari c’è magari no. Tipo la Ghibli mania.
Ma arriviamo alla tappa 2.
TAPPA #2: TASTE ECONOMY
riprende ed espande il tema in questa edizione di LetMeTellIT (iscrivetevi) e offre un concetto interessante: quello di Taste Economy.In un contesto in cui possiamo appunto produrre/creare in maniera sistematica senza bisogno di padroneggiare necessariamente una competenza o un tool: (cito)
il vero valore non sta più nel processo con cui qualcosa viene prodotto, ma come questo si riconosce come degno, vero, bello, innovativo.
Tutt* potenzialmente Rubin a fare e disfare: la competenza sta in cosa sappiamo estrarre da questa filiera produttiva, valorizzando non tanto il creare quanto il saper scegliere.
E io ho pensato: “Tutto questo si sposa perfettamente con ambiti creativi/soggettivi, ma anche il marketing può avere il suo lato Taste?”.
E ho decretato: si.
Non tanto e non solo per aspetti visual ma anche su piani più hard/teorici/strategici.
Esempio: mi capita di mixare Perplexity e Claude per sviluppare delle strategie “alternative” dove prendo, sfrondo e rifinisco finchè non arrivo ad un draft “degno, vero, bello, innovativo”. Lo possiamo definire Taste? Direi di si.
E in origine volevo concentrare questa newsletter sul “Taste Marketing” ma poi ho visto arrivare il vibe.
Lo vediamo nella tappa #3.
TAPPA #3: IN TO THE VIBES
2 mesi fa Andrej Karpathy, cofounder di OpenAI, scrive su X:
There's a new kind of coding I call "vibe coding", where you fully give in to the vibes, embrace exponentials, and forget that the code even exists.
“fully give in to the vibes” ha qualcosa di New Age e quasi mistico ma forse anche per questo suona bene;
“forget that the code even exists”: quasi metafisico
, ma forse per questo suona anche meglio.
Il concetto insomma piace ed inizia ad attecchire in giro per l’Internet (per approfondire c’è anche questo pezzo de Il Post).
Il retrogusto è: faccio cose senza per forza “saperle” fare.
Perdonate il gioco di parole un pò sofista. Comunque, ci siamo capiti no?
Un pò pensiero magico e un pò pensiero pigro.
E allora perchè limitarsi al coding? Con l’AI possiamo fare tanto altro e quindi “attaccare” il vibe a molti altri contesti (
La tappa #4 arriva così più diretta di un tiro da 3 di Steph Curry.
TAPPA #4: VIBE ___
Esatto, che ne facciamo del marketing?
Martin nella sua newsletter Uncharted (anche qui vale un’iscrizione) sentenzia senza appello Vibe Marketing Is Already Here (spoiler: ritroverete una barba bianca).
Greg Isenberg motiva su X (fonte: Matteo Roversi, vedi 2 link sopra) e sintetizza così:
The truth is out there o semplicemente too much?
Ma chiediamolo anche a Reddit e a Google AI Overview
Una definizione forse non del tutto in linea con quanto abbiamo scritto fin qui, ma tant’è: il concetto è ancora in cottura.
Quindi, dove voglio arrivare? In realtà da nessun parte in particolare.
Mi ha incuriosito sezionare (almeno in parte) questa cosa e le sue possibili radici: come dicevo all’inizio, il termine potrà diventare standard (e via ai job title su LinkedIn o ai corsi dedicati) oppure sgonfiarsi nel giro di un semestre, tuttavia il senso rimane e anche l’attenzione che sta calamitando. D’altronde siamo ancora in una fase in cui parliamo di AI oscillando costantemente tra hype e commodity.
Siamo (e saremo) marketer coi super poteri: forse.
Sapremo fare bene marketing grazie all’AI? No, non esattamente.
La difficoltà (e il divertimento) sarà nell’avere e nello sviluppare sempre più il taste per selezionare e scegliere? Sicuramente.
Diventeremo tutt* Rick Rubin? No, mi spiace. Però gli invidio sempre la barba.